UNA VOCE DALL’ESTERO. AL REFERENDUM COSTITUZIONALE VOTERÒ NO.
E SPIEGO PERCHÉ (Con tre A.S.-Ante-Scriptum…)
A.S. 1
Questa nota è un po’ lunga. Me ne scuso, ma il ragionamento ha bisogno dei propri spazi. Potete leggerla a “puntate”.
A.S. 2
Parlo di Referendum Costituzionale augurandomi che i candidati PD e di centrosinistra vincano tanto e bene alle amministrative di giugno. Sembrano due cose che non c’entrano tra loro. Ma c’entrano.
A.S. 3
Nel PD mi riconosco nella sensibilità espressa da SinistraDem di cui in questo momento mi sfuggono posizione, strategia e chiarezza dei messaggi legati alla battaglia referendaria.
Magari ai miei tre lettori non sto svelando nessuna novità.
Ma, dopo averci ben pensato, ho deciso che a ottobre voterò NO al Referendum costituzionale.
Tuttavia, prima di entrare nella carne viva dell’argomento, sento la necessità di fare qualche premessa che oserei chiamare “filosofica”.
Prima premessa: il mio vuole essere un NO sereno e costruttivo.
Niente isterismi di nessun tipo, che tanto spesso caratterizzano (visti da qui) i dibattiti italici. Isterismi del SI e isterismi del NO (ve ne sono a iosa da entrambe le parti).
Seconda premessa: se, come penso, vinceranno i SI, non penso, non dico e non credo che in Italia si instaurerà una sorta di “dittatura velata”. Il nostro Paese è una democrazia, checché se ne dica, solida. E tale continuerà ad essere. Anche dopo la riforma MEB + Renzi. E se non passerà la riforma, continuerà ad esserlo – lo dico senza problemi e da piddino – senza Renzi stesso.
Semmai, il tema è QUALE democrazia e di che QUALITÀ. Tema, sia detto ben chiaro, tutt’altro che superficiale per il nostro Paese e per il passaggio storico che stiamo vivendo.
Terza premessa: la Riforma, se “spacchettata”, ha alcuni passaggi che io trovo condivisibili. Ad esempio la retromarcia sul potere alle Regioni dopo l’ubriacatura leghista a cui si è prestata, per un certo periodo, anche la sinistra italiana. Oppure l’accresciuto potere della Corte Costituzionale. Oppure ancora l’istituzione del referendum propositivo.
Quarta premessa: io non voterò PER qualcuno o CONTRO qualcuno. Il mio voto è esclusivamente legato al merito della Riforma che ci viene proposta e alle mie personali (e opinabilissime) valutazioni. Di “qualcuno” – Renzi compreso – in questa partita, per quel che mi riguarda, non non ne esistono.
Legata a questa quarta premessa devo però fare una considerazione: il primo che ha oggettivamente “inquinato” il confronto è stato Renzi stesso.
Continuo a pensare che legare le sorti del Governo al risultato referendario sia stata e sia una forma di “isterismo” (vedere sopra) di cui il Paese non ne aveva bisogno.
Un isterismo che distrae il confronto su “temi altri” da quelli delle riforme isituzionali.
Posso capire cosa intenda dire il Capo del Governo quando parla di sue dimissioni in caso di vittoria dei NO.
Ma avrebbe dovuto tenerlo per sé. E non dichiarare questa intenzione prima dell’esito del voto referendario. Pena l’inquinamento e il degrado – che è già sotto gli occhi di tutti – del confronto civile e democratico.
Sono ancora convinto che le istituzioni pubbliche debbano svolgere, tra le altre cose, anche una funzione pedagogica. Cosa a cui non abbiamo assistito in questo caso.
Premesse finite.
Veniamo al merito.
Da cittadino italiano verrò chiamato ad esprimere un parere su un pacchetto complessivo che riguarda la riforma di una parte della nostra Carta Costituzionale.
Non sono un costituzionalista. Ma visto che vengo chiamato ad esprimere un parere e un voto, come tutti un poco costituzionalusta lo divento anch’io.
Potrei lanciarmi in un elenco quasi tecnico degli aspetti che non ritengo né convincenti né utili per il nostro Paese.
Ad esempio – e lo dico da monocameralista convinto – il fatto che la riforma NON ci propone un vero monocameralismo, ma una sorta di bi-cameralismo che io giudico confuso.
Oppure, il fatto che il futuro Senato delle Regioni non sarà veramente delle Regioni intese come sovranità territoriali che concorrono, in questa loro specificità, al Governo del Paese. Per quel che conta il mio parere in questa materia, il parallelismo che ho visto fare tra futuro Senato delle Regioni e Bundesrat tedesco (la Germania è uno degli stati più federali d’Europa) è assolutamente improprio. I membri del Bundesrat votano secondo il mandato dato dal governo del Länder di provenienza. Cosa invece tutt’altro che chiara circa il ruolo dei futuri Senatori nella proposta di riforma. Dove non è nemmeno chiaro come verrano nominati.
E ancora, l’elezione del Presidente della Repubblica che potrà avvenire, a partire dal settimo scrutinio, con i tre quinti dei votanti. Sì, avete capito bene: dei “votanti”, non degli aventi diritto al voto.
Come dire: ad un certo punto siamo tutti stufi di trattative e ricerca di sintesi per l’elezione del Capo dello Stato; quindi voti chi ci sta.
In pratica si sta correndo “allegramente” il rischio che il momento smbolicamente più alto dell’Unità del Paese si trasformi nel momento di una divisione elitaria e di minoranza.
E infine l’ulteriore rafforzamento del potere esecutivo su quello legislativo laddove si prevede una sorta di “corsia preferenziale” per il Governo quando questi intenderà presentare alla Camera i propri provvedimenti e questa li dovrà approvare entro 70 giorni. Perché?
Ma non è un freddo – e certamente approssimativo – elenco di tecnicità costituzionali che, da improvvisato costituzionalista, mi spingono a votare NO.
Anche, ma non solo.
Il cuore del mio NO sta nel fatto che questa riforma non sta unendo il Paese. Anzi. Lo sta ulteriormente dividendo. In altre parole, il fine ultimo e più alto di una siffatta riforma – unire il Paese o la sua stragrande maggioranza attorno al disegno di una nuova identità istituzionale – non c’è. Non lo si vede. Non se ne il profumo nemmeno da lontano.
Il profumo che, invece, venne sentito dagli italiani con la promulgazione della nostra Costituzione nel 1947 – sia pur nelle divisioni, anche aspre, che ne caratterizzarono la fase istruttoria.
Il Paese, dopo le lacerazioni della guerra e del post-guerra, si ritrovò unito con l’approvazione e l’emanazione della nostra Costituzione.
E d’altronde, non è forse questo il senso profondo e forte di una qualsiasi carta costituzionale in quasiasi democrazia del mondo?
La riforma che ci viene proposta, oggettivamente, non nasce con questa caratteristica.
Il Parlamento l’avrà pure votata (e non poteva che esser così…). Ma essa appare e profuma fortissimamente di “governo” e di “esecutivo”. E cioè di qualcosa di parte che potrà, un giorno, essere ribaltata da una prossima, futura e diversa “parte” che si troverà a guidare il Paese.
In altre parole, la riforma che ci viene proposta, non ha alcun carattere di “sacralità” quanto, piuttosto, di legge ordinaria voluta da un governo ordinario (nel senso letterale, of course…).
Ebbene, io non voglio prestarmi a creare un pericoloso e dannoso precedente di questo tipo.
Non amo particolarmente i sondaggi. Ma sembra, ora, che il Paese sia come diviso in due circa il parere sulla Riforma. Lo dico qui ed ora: se i NO dovessero anche essere il 35-40%, significa che la Riforma è stata una sconfitta.
C’è un altro aspetto, non legato alla tecnicità costituzionale, che mi ha convinto per il NO.
E riguarda l’armamentario culturale (non politico, sottolineo culturale) a cui si è fatto e si fa ancora ricorso, per giustificare la scelta regina della Riforma stessa: e cioè la soppressione del bi-cameralismo perfetto.
Al fine di spiegare e giustificare questa scelta, non si è esitato a ricorrere alla peggiore superficialità che tanto caratterizza l’anti-politica: “diminuire le poltrone”, “i parlamentari che, finalmente, si renderanno conto di cosa significa lavorare”, “mandare a casa i fannulloni” e altre simili amenità concettuali.
Il tutto spesso condito con la forte accentuazione sui costi della politica.
Certo, siamo tutti d’accordo che i costi – anche queli della politica- vadano ridotti.
Ma non ci si avvicina al tema della riforma costituzionale utilizzando questo genere di argomenti. Non si tocca una cosa laicamente “sacra” come la nostra Costituzione usando parole e concetti che suonano dissacranti proprio verso ciò che si vuole riformare.
Il risultato è che oggi parte dell’opinione pubblica pensa – grazie anche a Renzi e al gruppo dirigente del PD – che il Senato non è mai servito a niente. Che i Senatori sono storicamente degli scalda-poltrone e che la Repubblica Italiana ha sempre funzionato male a causa del bi-cameralismo paritario e comunque male prima che arrivasse Renzi stesso.
Mezze bugie e demagogia sparsi a piene mani che falsificano la storia del nostro Paese. La storia della nostra Repubblica che, mi sia consentito, è stata anche una bella e grande storia.
Ed io dovrei votare SI avvallando questa ignobile e scadente operazione culturale? (non politica, sottolineo culturale).
Tralasciamo poi l’aspetto legato anche alla demagogia menzognera che viene utilizzata: infatti – se proprio vogliamo ridurre la questione a pura contabilità economica – con la diminuzione dei Senatori a 100 e senza indennità, il Senato (inteso come macchina istituzionale) ridurrà i propri costi di qualche punto percentuale.
I futuri senatori dovranno essere indennizzati per i loro spostamenti a Roma e l’apparato burocratico non verrà dismesso. Sempre soldi pubblici, sono.
Di questi costi, che rimarranno, non ne parla nessuno.
Un altro aspetto riguarda il tandem: nuova legge elettorale Italicum e futura assemblea legislativa.
Lo so che non siamo chiamati ad esprimerci sull’Italicum, già approvato.
Ma è un dato di fatto che la futura rappresentatività data da nuova legge elettorale più nuova Camera e Senato delle Regioni va a discapito della qualità del potere rappresentativo a vantaggio di quello esecutivo. Senza nemmeno sapere se quest’ultimo sarà di qualità.
Mi si dice: “Una vera democrazia è una democrazia che decide”.
Condivido. Ma stiamo attraversando una fase storica nella quale una consistente e crescente parte dell’opinione pubblica (non solo italiana) sente che è ininfluente recarsi nelle urne a votare.
Cosa facciamo di fronte a questo fenomeno? Scommettiamo sul rafforzamento del potere esecutivo, su di una legge elettorale che prevede capi-lista nominati, che assegna premi di maggioranza distorsivi dell’opinione politica popolare e con una assemblea legislativa che restringe, anche numericamente, la propria rappresentanza?
Io trovo tutto questo un voler scommettere sulla non-partecipazione al voto e alla vita politica e civile del Paese.
Come dire: lo studente è un po’ svogliato e demotivato ed io gli dico che, comunque sia, la classe e i compagni faranno a meno di lui.
E’ l’etica del consenso che vince su quella del senso (delle cose, della politica, della partecipazione).
Infine – lo metto alla fine non a caso – anche da italiano all’estero non posso, forse un po’ lobbisticamente, dirmi contento di questa riforma.
I parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero sono 18: come sappiamo (ma non tutti sanno), 12 deputati e 6 senatori.
18 parlamentari che tutti abbiamo sempre ritenuto già pochi rispetto al potenziale corpo elettorale presente all’estero. In altre parole, se si dovessero applicare alla Circoscrizione Estero i parametri di rappresentatività applicati in Italia, i parlamentari eletti all’estero dovrbbero essere oltre il doppio e anche più.
A fronte di questo fatto, la riforma, istituendo il Senato delle Regioni, sopprimerà i 6 senatori, riducendo ulteriormente gli “eletti dal popolo”.
Se a questo si aggiunge il fatto che, nell’Italicum, i voti dei connazionali all’estero non concorreranno alla formazione del premio di maggioranza, qualcuno potrebbe spiegarmi in cosa dovrei essere contento da italiano residente all’estero?
Io voterò NO. E chiederò di votare NO.
E lo faccio anche perché ho una grande fiducia nella forza democratica del nostro Paese.
Se dovessero vincere i NO, non ci saranno cataclismi democratici.
Renzi dice che si dimette. C’è da credergli.
Ma non sarà lui a decidere cosa fare un minuto dopo. Sarà, invece, il Presidente della Repubblica che, ragionevolmente e plausibilmente, gli ri-affiderà l’incarico per formare un governo sull’unica maggioranza oggi possibile. Quella attuale.
Il processo riformatore potrebbe ripartire sulla base di una maggiore condivisione interna al PD che, al di là dello “story-telling” che ci è stato consegnato, non si è voluta scientemente e pervicacemente ricercare. Andate a chiedere qualcosa al senatore Vannino Chiti che presentò una proposta che riduceva il numero di TUTTI i parlamentari (Camera e Senato), la fiducia al Governo data dalla sola Camera e altri aspetti molto più rispettosi dello spirito della attuale Carta Costituzionale.
Vi sono dei NO che aiutano a crescere.
Vi sono dei NO che sono in realtà dei SI a qualcosa d’altro che non è il “capriccio” immediato (mi si passi il termine) legato al qui ed ora, ma che aprono nuove strade e nuove possibilità.
Una vittoria dei SI, in un Paese (e in un PD) lacerato e non convinto della riforma, a chi o a cosa gioverebbe? Quale sarebbe l’eredità che viene lasciata?
Vi sono dei NO ugualmente importanti per il futuro come i SI.
Ci vuole spesso più coraggio a dire NO che SI.
In questo caso è anche un NO ad una cultura politica (quella dell’anti-politica e del dileggio della nostra storia repubblicana) che dovrebbe essere estranea ad un partito progressista come il PD.
Non basta un SI per cambiare e per cambiare in meglio.
Io dico #SerenamenteNO
Roberto Serra, Sandweiler (L), 23.05.16
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